tranquillità

shenqi II la conferma
la seconda passata non è quella della vendetta, misera vindetta, bensì quella della conferma, soddisfatta conferma (a meno che non siate della scuola john rambo).
yang laoshi legge un passo del taoteching, il 16 capitolo. così il duyvendak:
"raggiungi il vuoto estremo e conserva rigorosa tranquillità.
raggiungendo il vuoto estremo e conservando rigorosa tranquillità, mentre i diecimila esseri si dibattono attivamente, io contemplo il loro ritorno (nel nulla)…" 
I diecimila esseri sono, nel linguaggio del daodejing, tutti gli esseri viventi.
L’unica vendetta che ricordo di aver preso consciamente in vita mia è stata al tempo dei capelli blu. Andai a trovare una ragazza nel suo paesello nell’emilia, e lei di rimando chiamò il suo enorme e incazzatissimo ragazzo, della cui esistenza sfortunatamente non avevo idea, ragazzo che per poco non menò prima me e poi lei, messo di fronte all’evidente fatto che la tipa non è che fossi andato a trovarla perché mi ero svegliato una mattina e avevo deciso di farmi un’ora di treno e tre ore di pulman. La vendetta si era risolta nel mio andare dalla gelataia del paesello e raccontarle tutta la storia, incluso ragazzo che a torso nudo butta giù la porta del cesso dove lei si è rinchiusa per il panico, tutto sommato una cosa delicata e allo stesso tempo uno discreto sputtanamento.
Ma a parte questo, personalmente ho sempre preferito starmene nel mio e assistere allo sputtanarsi delle persone, in un modo o nell’altro. E gli stronzi non c’è problema, possono profumarsi quanto vogliono, ma prima o poi di merda sanno, c’è poco da fare. Alle volte sulla riva del fiume ho seduto per mesi. Alle volte me ne sono dimenticato, grazie al cielo, di stare seduto sulla riva del fiume. Ma "le bugie hanno le gambe corte". Magari neanche troppo corte, ma il senso è quello. Questo può provare la "superiorità morale", ma non sono affatto sicuro che due pizze nel viso assestate subito non siano molto meglio. Solo che non sempre me le sono potute permettere, non sempre sono venute. Comunque la superiorità morale, specie se accompagnata al dovuto sputtanamento pubblico, è sempre una soddisfazione. 
Questo ha a che fare con il titolo del post, che appunto non si chiama shenqi II la vendetta ma la conferma. E veniamo alla cosa in sé, come avrebbe detto kant.
Stamani mi allenavo. Anche gli amici Liu e Hong si allenavano. Semplici scambi, io do tre cazzotti te fai tre parate, e poi ci si scambia. Solo che a un certo punto l’amico Liu è sbroccato peso, la tensione generale è salita, lui ha iniziato a cercare di menare con foga l’amico Hong, Yang Laoshi ha avuto un microsecondo di esitazione, xiao wei (l’allieva dodecennale) ha detto qualcosa e dopo un tempo x a me parso piuttosto lungo la situazione è tornata "tranquilla" [x ≤ 10 secondi].
Considerazioni alla luce del riguardare la cosa al rallentatore, delle parole scambiate in seguito etc.: l’amico Liu è stato colpito al naso dall’amico Hong, cosa di cui non ho avuto percezione, mi viene raccontata dopo. Ora, se mi dai un cazzotto sul naso mentre ci alleniamo a me non me ne frega niente, a meno che tu proprio non voglia spaccarmi il naso, ma non vedo perché mai dovresti. L’amico Liu invece la cosa non l’ha presa tanto bene, e si è incazzato parecchio. Forse l’hanno menato da piccolo (non scherzo, un mio amico che sbroccava facile un giorno mi ha detto che suo padre lo menava e io ho capito molte cose… ora che ci penso, due miei amici). 
Fatto sta che il suo qi è salito (生气了, shengqile, s’è incazzato). E la cosa figa è che l’ho visto chiaramente. si è praticamente sradicato da solo, e i suoi movimenti erano scomposti, prevedibili e inefficaci. Il suo petto era gonfio, il suo braccio pesante mentre lo roteava con slancio verso l’amico hong. Tutto era verso l’alto, troppo yang, troppa rabbia. E tutto serviva a impressionare un avversario, più che a ucciderlo: il rosso del viso, i gesti ampi, gli occhi spiritati. A posteriori noto una certa somiglianza con mimiche scimmiesche… E la cosa figa, è che ho presente ogni movimento che ha fatto, perché appena ho avvertito quella tensione sono entrato in uno stato di sedazione, ho seguito quei nemmeno dieci secondi in ogni istante. E vabbè. La tranquillità. E poi mica cercava di dare nel viso a me, voglio dire.
Ora, tenere il qi nel dantian (丹田) non è un’espressione a caso. Tenere il qi basso. Tranquillità. La capacità di esprimere forza del taijiquan non deriva dalla potenza muscolare, ma appunto dall’essere tutt’uno con
-se stessi (grado 0, tongyi interno del proprio corpo)
-con l’altro (grado 1, tongyi esterno con l’avversario)
-con l’universo porco mondo (grado definitivo totale superiore e alquanto paraculo, tongyi e basta). [tongyi 统一]
Per essere tongyi bisogna dimenticare se stessi. il proprio corpo, le proprie menate, le proprie magagne. Piallare l’ego, perché nel frattempo si sta capendo di cosa è fatto l’ego (e se ne stanno sciogliendo i nodi che ci legano?).
Ancora considerazioni: ho provato un lieve imbarazzo per yang laoshi. c’era un nuovo studente straniero, alla sua seconda lezione (che tenerezza!!!), e ho pensato che non fosse il migliore spettacolo da dargli. Fortunatamente, di fronte a un piatto di jaozi fritti, che dopo nove mesi di pechino ancora non aveva mai provato, il 19enne americano, tangenzialmente sondato, mostrava di non aver dato troppo peso alla cosa: troppo preso bene, a quanto pare.
A fine lezione ci stavamo salutando. Avevo notato quella cosa, e volevo comunicarla all’amico Liu. "Quando ti arrabbi, i tuoi movimenti confusi" [生气的时候,你的动作乱, che non ho idea se sia corretto, ma si capisce]. Liu mi risponde di foga troppe cose troppo strette che quando mi parla di solito si controlla ma ora non ce la fa, poi rallenta il ritmo rallenta il ritmo ancora un po’. "Sì, giusto". E poi invito a pranzo Alex, che giovane entusiasta invita pranzo yang laoshi (io sono otto mesi che aspetto che sia yang laoshi a invitarmi), il quale risponde la prossima volta vi invito io piuttosto a casa mia, che sono l’insegnante, e non ho ancora capito la portata della frase ma ho trovato Alex un elemento nuovo e decisamente rinfrescante.
Parentesi su yang laoshi: ho fatto il tiramisu, grazie mamma santissima per avermi concesso di apprendere la ricetta della crema, e ne ho portato una vaschetta a yang laoshi, non senza un certo sbattimento che ho dovuto lasciarla nel frigo di uno dei chioscetti dello zoo per tutta la mattina. Yang laoshi ride, ringrazia, dopomani ti riporto la vaschetta, ah sì ok non importa. Il giorno dopo finisco di fare il palo (dai, ormai non devo più metterlo tra virgolette o corsivarlo!) mi giro e nel posto dove yang laoshi poggia la giacca c’è la vaschetta con dentro due pacchetti di biscotti dello stesso identico volume del tiramisu, e non un verbo. O quel che si dice "non reciprocare sarebbe scortesia", in generale la base etologica ermeneutica locale. che in yang laoshi diventa la sua natura. se lui ti colpisce poi si lascia colpire. Se lo colpisco sono sicuro che lui mi ricolpirà.
[mabu] 
 
Stasera vado ad allenarmi al parco. Il parco è lo cui hu (pronunciato zui-‘ù, o tsui-fù in kunming’uà, il dialetto locale). Il posto è il posto dove vado ad allenarmi quando vado allo cui hu, che normalmente non condivido con nessuno nonostante l’ampiezza, per il fatto di essere un luogo che, per quanto rinfrescato dalla prossimità di un’ampio bacino di acqua, non è all’ombra, crimine ultimo dell’architettonica ricreazionale cinese. Ma stasera, complice uno sfasemento dei ritmi dovuto all’assentarsi della condividente-il-letto e a un appuntamento con due amiche che l’ultima volta le avevo viste di schiena, sono andato al parco alle sette, col sole tramontato ma non ancora buio (siamo già a goderci i crepuscoli, da queste parti, che volete. a pechino si bela di freddo.) Quindi i frequentatori random del parco si stavano levando dai coglioni, e cominciavano ad arrivare quelli che vengono al parco per fare roba. Pèèèssimo momento.
Mi metto a fare il palo, che ultimamente devo dire è un po’ cambiato rispetto all’inizio nel senso che adesso lo faccio in mabu, e qui so di rivolgermi a un pubblico di specialisti. Lo faccio a cavalcioni di niente, per, sul timer del cellulare, mezz’ora e quindici secondi (che spreco a mettermi in posizione, grattarmi il sottopalla o altro).
(I quindici secondi.)
Così mi perdo, nel semibuio gli occhi non focalizzano, gli occhiali con le lenti fotocromatiche aiutano, la miopia è la manosanta. Fino a che non arrivano quattro cinque ragazzine, si fermano a cinque metri e iniziano a cinguettare, cirp cip ciiiiiiiip stile ultrasuono, poi una parte e mi si ferma a mezzo metro di distanza di fronte al muso e inizia a muovere la testolina e poi fa ciao ciao con la manina.
"come fanno ad irritarti, se tu non esisti?" quando stuart mi aveva raccontato questa storia, lui che si stava incazzando per dei ragazzotti cinesi che lo fissavano facendo i tipici commenti da ragazzotti cinesi, yang laoshi che se n’era accorto e appunto gli aveva detto quanto sopra, quando me la stava raccontando avevo pensato che avrebbe detto "come fanno ad irritarti, se loro non esistono?", la classica uscita zen della messa in discussione della "realtà oggettiva" come se fosse chissà che gran svolta cognitiva, e invece no. "se tu non esisti".
E io guardavo la tipa, ma non la stavo guardando. guardavo tutto e non guardavo niente, e non guardavo me stesso, ma al tempo stesso sapevo la tipa lì, sapevo che stava muovendo roba verso di me. E il mio cuore ha richiesto spasmodicamente qi per disintegrarla*, era pronto a tirarne su a secchiate, ma il qi non è salito, è rimasto giù, e allora il cuore ha pompato più forte, ma tutto il resto è rimasto uguale. E la tipa se n’è andata, e ne è arrivata un’altra, e se n’è andata, poi sono arrivati un nonno con nipote, e il nonno diceva al nipote "lianxi qigong", allena il lavoro di qi, piacevole fremito nell’aria un po’ tesa, e poi sono arrivati quattro tipi, e hanno iniziato a girarmi attorno. Dei pessimi, con l’aria dei pessimi. Completi blu scuro da due soldi, una eccezione, mani in tasca, cicchino in bocca. E anche lì il cuore che ripompa. E porcodiddio, non me la sono mica inventata io questa roba, è la vostra mèrda, potreste almeno evitare di rompermi i coglioni, eh? Che cazzo. E invece non faccio una piega, ma non avete forse capito cosa vuol dire, mi esprimo debolmente, cerco di rimediare: vuol dire che non muovo neanche di un millimetro la pupilla di nessuno dei due occhi. niente. Quei muscoletti che attuano le rotazioni del bulbo oculare e che di solito sono i primi a partire. niente.
*"far esplodere ogni molecola del suo corpo alla velocità della luce", come ebbe a chiarire il dott. spengler.
Passano anche i tipi. E passo anche io, dopo un’altro passaggio delle ragazzine. Troppo. Quello che mi frega, nonostante la mia campagna di alleggerimento personale dagli effetti personali, è il cellulare, l’idea che avendolo alle spalle qualcuno me lo possa fregare. Ho tutti i numeri del mondo e non ho ancora pensato a trascriverli. Ho un cellulare figo che fa le foto (noooooo, davvero?! va bene, nel senso, fino all’altro ieri avevo il nokia trenta euro con lucina). Comunque sia, un oggetto, una cosa, quindi un riferimento ad altro, ma nel caso specifico un’ipertrofia di riferimento a tutte le mie conoscenze si riducono a quello che sta nel cellulare (o no? bè, di qualcuno non ho il numero, eppure potrei quasi dire che lo conosco), un oggetto di una densità topologica immensa, un buco nero dello spirito, se mi si passa quest’ultimo termine. vabbè, mi girava il cazzo se mi s’inculavano il cellulare.
E quindi dopo venti minuti ho smollato, mi sono scoperto a girare un paio di volte gli occhi e a quel punto era inutile continuare che ero tornato, e mi sono sgranchito braccia e gambe. Nel frattempo era arrivato il corpo di balletto di quella zona. Le signore di kunming amano ballare tra sole donne alla sera, una specie di gioso gruppo di supporto senza parole lagne e strazianti confessioni, e ogni zona relativamente ampia del lago (o parco: parco e lago, uguali) ha il suo corpo di ballo femminile. Unica rara eccezione maschile, l’insegnante di ballo, frocio persissimo e non di rado più femminile delle stesse signore, nell’esprimersi attraverso i balli tradizionali ballati su qualunque genere di atroce house.
I quattro tizi erano ancora lì in zona, più distanti, a guardare le tipe che ballavano, di cui facevano parte anche le ragazzine. Io ho immediatamente tirato a diritto, lasciando borsa con computer e cellulare riparati dal corpo di ballo, una fortezza di morigeratezza impenetrabile a qualsiasi malintenzionato, e sono andato a fare l’equivalente del bozzolo di seta (per luca) di yang laoshi, esercizio che di solito faccio fino a che non ho le anche calde e il sacro allegro e il respiro fresco e sottile, ma che stasera ho condensato un po’. I tipi erano sempre lì vicini, e mi stavano ignorando. Io avevo ripensato ai pacchetti di biscotti di yang laoshi, e mi erano sembrati appropriati.
Uscito dal bozzolo sono andato dai tipi. Dal primo, gli sono andato sotto al muso e l’ho guardato negli occhi. Lui non mi ha lasciato neanche il tempo di arrivare e ha girato la testa, quando sono arrivato si è girato completamente e si è allontanato, mentre io mi andavo dal secondo, che si è girato e se ne è andato pure lui e così via. Tutti e quattro hanno chinato il capo e girato il culo, direbbe uno più rozzo di me. Poi sono andato verso la mia borsa, mi sono fermato da una delle ragazzine cretine, che pure non riusciva a ballare, stessa cosa, solo che le davo una quindicina di centimetri, e lei mi ha guardato da sotto in su, un po’ perplessa un po’ preoccupata (grazie! vorrei che percepissi il mio non aver apprezzato quanto successo prima, mostrati preoccupata), poi ha detto: "excuse me? excuse me." E io me ne stavo andando a prendere la roba, e di nuovo, ripassandole a fianco, "excuse me". 
Prego. Non reciprocare sarebbe scortesia.
Storiella taoista.
[上] bisogna notare che la mia traduzione di shengqi, il qi sale, non è fedele, pur rendendo l’idea (e quindi giustificandosi in quanto traduzione). salire è comunemente (平时) reso con shang, 上, che abbastanza evidentemente agli occhi di un cinese ha a che fare con quello che sta sopra [下 xia, d’altro canto, ha a che fare con ciò che sta sotto]. ma shengqi è appunto 生气 e non 上气. sheng 生 vuole dire tante, tantissime cose. tra le tante, a margine, vuol dire crescere. Come un gas riscaldato, il qi si espande, che è quello che sfrutta uno che fa taiji e vuole esprimere forza, solo che esplode di rabbia, ed essendo qi leggero esplode verso l’alto, sbilanciando completamente il suo recipiente (che nel caso può gridare per mantenere una posizione più stabile: a quel punto di solito il volto è paonazzo e le arterie del collo sono gonfie e non di rado tendenti al verdastro). quindi bisognerebbe dire il qi che cresce, o il qi cresce, ma siccome l’unico modo in cui cresce è salendo (a meno che non facciate taijiquan beninteso (per altre cose non so)), mi pare che anche l’espressione che ho adoperato, facendo il pari con quella italiana di "dare alla testa", potesse essere accettata.

3 responses to “tranquillità”

  1. Intubation

    “non fare agli altri…” trovo interessante come mettendo il “non” davanti a tutto si passa dal tao te ching al cristianesimo. Aaaaaaargh!

    Comunque, provero’ con i ragazzetti turchi dei parchi tubinghenesi.

    Ti amo anch’io

  2. peppequaresima

    caro neri come stai..a volte anche i tuo pessimo amico terrone ti pensa…spero te la stia passando bene
    ps ho incontrato un tale tipo di nome jacopo che ha fatto l’elemetari con te, abbiamo così parlato un pò di te

  3. pengo

    che bella combo, pippi e peppe insiemem, il meglio del mio passato senese (almeno sul fronte maschile). sono alquanto sopreso che, incontrato lo sforzi, siate finiti a parlare di me, ma pensa un po’.
    intubato maledetto, hai visto quant’è facile il passaggio? dai, vieni anche tu nel lato oscuro…