"ogni uomo ha diritto a lavorare controvoglia quanto meno possibile." Questo e’ l’unico diritto umano dal quale tutto il resto consegue, dopo il quale tutto quanto e’ necessariamente negoziabile. Non parlo dell’infanzia, ne’ dell’adolesacenza, parlo degli adulti, gli adulti di quindici anni che a volte incrocio da queste parti, o di cui leggo nei romanzi dei partigiani (i poveri crescono in fretta), parlo di quelli che a trent’anni non lo sono ancora, qualunque cosa sia richiesto per essere adulti (forse, farsi carico di altri, di una famiglia).
Per favore, fatela depositare un attimo, quella frase. Non abbiate fretta, eh, da bravie.
Si tratta dell’affermazione di un diritto universale. Formulata in maniera semplicistica, perche’ andrebbe anche aggiunto, "e non morire di fame e di stenti", ma lo do per implicito nella cornice dei diritti umani. Non e’ un’affermazione destinata a tutelare una parte, e’ un universale, notate quel "ogni". Non vuoi lavorare in miniera? Mi sembra ragionevole. Non vuoi spalare rifiuti tossici? Mi sembra ragionevole. Eppure e’ assolutamente normale comprare prodotti che prevedono che un mucchio di gente crepi in miniera. E’ assolutamente normale produrre rifiuti che rendono imbevibile l’acqua, uccidendo ogni forma di vita che contiene. Senno’ come ci scrivo su questo blog?
Da bambino andavo al mare con i miei, e un appuntamento quasi rituale era andare alla festa dell’Unita’ di campiglia marittima, sulle colline toscane che si affacciano sul tirreno. Li’, quando avevo finito di mangiare i tortelloni al ragu’, andavo in cucina e insieme ad altri bambinetti prendevo i piatti e li portavo ai tavoli, dove la gente contenta mangiava il suo. Non me lo aveva imposto nessuno, nemmeno suggerito, semplicemente mi pigliava bene. La cosa piu’ interessante degli articoli di nero sulla condizione della scuola (vi ci rimando attraverso beirut, che li ha gia’ linkati uno per uno :), per me, non e’ la condizione della scuola. Ancora non mi pongo personalmente il problema, e a livello macrosociale e’ solo un tassello dello sfacelo generale. La cosa piu’ interessante per me e’ il rapportarsi di nero alla scuola con lo stesso spirito con cui io portavo i piatti alla festa dell’Unita’, o con cui lui probabilmente metteva su gli hack.it, i flying circus itineranti della comunita’ ackara italiana e non. C’e’ roba da fare, allora si fa, ci si rimbocca le maniche e si fa, perche’ altrimenti le cose non vanno. Se potete sintonizzarvi con questo, allora potete capire il senso della mia dichiarazione d’apertura.
Tutto il resto ne consegue, tutto il resto e’ negoziabile. Necessariamente, negoziabile. Perche’ se nessuno ha voglia di fare un cazzo, non si va da nessuna parte, ma ben presto ci si rende conto che il problema e’ di tutti. Azz, aspetta un attimo. Ma io ho il MIO orticello. Ho il MIO x, e anche il MIO y. Gia’. Ovviamente io la proprieta’ privata di fronte al bisogno collettivo non la prendo in considerazione, scusate, perche’ sono un "…", mettete voi quello che volete. Ingenuo, aristocratico, idealista, fancazzista, ipocrita. Va tutto bene. Pero’ fate partire lo spin, la rotazione, dall’asse del non lavorare controvoglia.
Bauman, Zygmunt (ma che nome, dai!), bauman dicevo non e’ il piu’ scemo dei divulgatori, scusa margherita per il mio commento a cazzo, e individua piuttosto bene un passaggio chiave della "modernita’": la sensazione di appartenenza ad una comunita’ scompare con la scomparsa della posizione degli scopi. "La posizione degli scopi" e’ una formuletta che mi ha insegnato uno dei miei maestri, il vecchio maz, per la qual cosa lo ringrazio piu’ che per le ore spese a commentare la scienza della logica. L’affermarsi completo dell’industria capitalistica, di fabbrica, fordista, tolse definitivamente all’operaio qualunque margine di autonomia nell’espletazione del lavoro.
Ora, parliamo un attimo del lavoro. Per lavoro intendo l’espletazione di un rapporto con l’ambiente che porta alla riproduzione del "lavoratore". Riproduzione quotidiana. Ergo non necessariamente lavoro salariato. Ossia, siamo organismi che consumano cibo, ne sintetizzano qi (eheh) e cacano, ma questo cibo da qualche parte lo devono cavare, e AD UN CERTO LIVELLO DI ASTRAZIONE e’ uguale se questo proviene da un bosco, un orto o viene pagato con una carta di credito in un supermercato.
Tornando agli scopi posti. La modernita’ prevede l’abdicazione della facolta’ di porre scopi, cioe’ la volonta’. Senza volonta’, tutti un po’ moscini, facciamo spallucce e ci giustifichiamo con l’affitto da pagare, il mutuo, le rate della macchina. Perche’ non c’e’ una comunita’ che ci possa aiutare, che possa farsi carico di noi nel momento del bisogno, quindi i problemi ce li dobbiamo risolvere da soli, va bene, anzi di lusso, se abbiamo una famiglia (e anche quella, per aggiungere banalita’ alla banalita’, si sta sgretolando). Non si fa piu’ quello che si sente essere realmente necessario alla riproduzione propria e della propria comunita’, che anche a livello infrastrutturale, territoriale, architettonico e urbanistico e’ stata annullata.
Intanto, sarebbe gia’ qualcosa se si riuscisse a vedere il processo che ha portato alla scomparsa della comunita’, come questo processo sia stato gestito e direzionato consapevolmente. Nel senso, a questo servono gli sbirri in ultima analisi, ad impedire che uno dica no grazie, preferisco fare in un altro modo, preferisco un bel giardino a un centro commerciale (non mi avete chiesto il parere per costruire quell’esselunga, non e’ un cazzo carino, sapete?). E comunque gli sbirri non vincono sempre, ogni tanto vincono gli altri e poi mettono al posto degli sbirri altri sbirri…
Se fate partire la rotazione del mondo dal non lavorare controvoglia, espletando, e-sple-tan-do mansioni, man-sio-ni che non hanno alcun reale collegamento con il vivere bene, bene, tutto il mondo crolla. Capisco che sia difficile anche solo riuscire a immaginare una cosa del genere, senza gli operai che crepano nelle acciaierie, la gente in miniera, gli impiegati grigi. E poi c’e’ chi un po’ ci gode, in questa situazione, e poi siamo un po’ troppini, forse (ma per quello c’e’ rimedio, lo sappiamo noi e lo sanno loro). Prendetelo, almeno, come un esercizio mentale di elasticizzazione, a parte le perentorie affermazioni di apertura. Prendetelo come un esercizio in cui imparate a visualizzare la vostra soddisfazione. Se prende la forma di un televisore al plasma, forse avete sbagliato blog. Se vi vedete a rimboccarvi le maniche insieme ad altri per mettere su qualcosa di bello, potente, utile e possibilmente non troppo tossico, benvenuti.
Comunque sia, prima cosa: avvertire i problemi come sistemici e collettivi, appunto, e non solo cazzi miei o preferibilmente altrui. Seconda cosa: io non ti vengo a dire cosa devi fare (a meno che tu non mi chieda, cosa devo fare per fare questo? E allora se lo so io ti dico: un metodo, nota bene, un metodo e’ quello di passo a, passo b, ecc.), tu non venire a dirmi cosa devo fare. Grazie. Educhiamoci a volesse bene e ad essere ragionevole.
Perche’ alla fine il modo per uscire da tutto questo bel discorso e’ venire qui, darmi un pugno nel viso, mettermi delle catene ai piedi e mandarmi a lavorare in miniera. Succede abbastanza spesso, ancora oggi. Siamo belli tondi e ragionevoli (LAURA!!!), ma poi e’ la violenza dove si interrompono i discorsi. O meglio, usando la categoria filosofica appropriata, il discorso. La violenza e’ l’uscita dal discorso, dallo spazio di negoziazione ragionabile. (Altro motivo per cui ringrazio maz, avermi fatto scoprire Eric Weil).
E allora, su, tutti a fare taiji, cosi’ poi non abbiamo paura :D