taigu

il saggio trattiene i progetti (zhuang zi)

Mi espongo troppo, rischiando di fare passi piu’ lunghi di tutto il corpo.

Stamani sono partito per Taigu, inesistente sulla guida ma relativamente rinomato tra i praticanti di arti marziali in quanto patria del xing yi quan. Fuori dalla stazione si dipana un quartiere mercato alternato a manifatture tessili, turismo zero, la gente mi guarda e ride, o saluta l’alieno con qualche indecisione. Polvere ovunque, niente di rinnovato come a pechino. "Autentico"… Mi fermo a ragionare con dei vecchietti che come l’80% dei vecchietti che ho visto finora passa le giornate a giocare a scacchi (cinesi). Voglio vedere del xing yi quan. Vai al parco popolare (ren min yuan). Mi perdo, chiedo ad una signora con figlia, e dopo un po’ di ragionamenti decidono di accompagnarmi. Se parlano piano qualcosa capisco, la figlia non riesce a dirmi tre parole in inglese, si vergogna. Fermano un apino, versione cinese, con sedili foderati, sudici, e montiamo. Dopo un viaggio sobbalzante arriviamo al parco popolare, offrono loro la corsa, grazie grazie (l’ospitalita’ da queste parti e’ una cosa seria), scendo e entro nel parco. E’ quasi mezzogiorno, fa caldo, ovviamente non c’e’ un cane. Mi giro, sereno, deciso a trovare un posto dove mettermi a studiare, e vedo che la figlia e’ li vicino. Vedi, non c’e’ nessuno che fa xing yi qui. Nel frattempo, fuori dal parco la madre e’ ancora li’ che aspetta, i venditori ambulanti hanno fatto capannello. Quando esco dicono alla figlia di portarmi da Yang Fengsheng, di cui avevo letto qualcosa ieri. Nonostante la diffidenza per i supermaestri, e questo Yang Laoshi e’ veramente un super che ha vinto tutto e di piu’ e ha sfornato campioni che hanno fatto altrettanto, decido che va bene (tanto a quest’ora non troverei nessun’altro). Arriviamo, madre e figlia mi salutano, la scuola ha un mega cartello "Taigu international Xin Yi Dao development center", cinese e inglese. Incontro una ragazza a cui spiego la situazione (ci metto un po’… vabbe’, ormai sara’ chiaro il tenore della mia comunicazione), mi porta a vedere la palestra, non c’e’ nessuno a giro. Aspetto, e dopo un po’ arriva un ragazzo, il figlio del maestro, che si introduce simpaticamente dicendo alla ragazza ta ting bu dong, questo non capisce (il cazzo lo sottintendiamo noi). A fatica riesco a fargli capire che no, poco ma qualcosina intendo, che non voglio allenarmi, non sapendo una cippa di xing yi, ma che sarei molto felice di vedere un allenamento di un maestro cosi’ bravo. Vieni alle sei. Poi, capito che non ho ancora dove dormire, mi accompagna ad un albergo…

Attimi di sconforto. All’improvviso. Mi chiedo cosa ci sto a fare qui, come diceva l’amico delle moleskine (ah, l’altro giorno a pechino, mentre cercavo il libro di cinese della abbiati, incontro all’universita’ di lingue un’americana, le faccio vedere sul taccuino il titolo del libro per vedere se ha un’idea di dove potrei trovarlo, e lei mi fa, ah, le moleskine, ne ho una anch’io, sono le migliori vero? Al che le avrei dato volentieri una testata). Mi chiedo che ne sara’ della mia vita. Se davvero penso di stare qui degli anni, in mezzo a degli alieni. In un paese tossico, con costumi assurdi, ho gia’ trent’anni, mi sento perso. Poi mi guardo allo specchio, e capisco. Non ho mangiato, non ho bevuto, non mi sto prendendo cura di me. Conosco questi sintomi ormai troppo bene, e per fortuna ho imparato ad affrontarli. Faccio un pisolo, riprendo a studiare il cinese (sono arrugginito ma gioco forza sto imparando un bel po’ di parole nuove, tanto vale impararle per bene), alle cinque mi metto in cammino. Ripercorro la strada che ho fatto in macchina col figlio del maestro, quando sulla strada vedo un ragazzo che fa piquan, il colpo base base base del xingyi. E’ qualche passo davanti a me. Gli grido dietro, niente. Grido e mi sbraccio, si gira, e’ su un passaggio sopra di me. Mimo piquan, e lui fa cenno di si’ con la testa. Mi arrampico, lo raggiungo, gli chiedo se va da Yang. Fa un cenno con la mano, non risponde. Gli dico ancora… fa un cenno con la mano, non risponde. E’ sordo e muto. Il mio amico ideale.

Mi accompagna alla scuola, per una strada piu’ breve. Arriviamo in anticipo, a giro c’e’ solo qualche bambino. Man mano che si avvicinano le sei, capisco che e’ la lezione dei bambini. Come devo interpretare la cosa? In nessun modo, oggi alle sei c’e’ quella lezione. Punto. Alle sei meno cinque arriva lui, tutto in nero, cinquanta apparenti, poco piu’ basso di me, due mani che sembrano due morse. Sono sul ballatoio fuori dalla palestra, primo piano, lui e’ sotto e mi saluta. Mi raggiunge, tutti i bambini sono gia’ a fare stretching, entra, e il ragazzo muto mi fa cenno di seguirlo. Si va a sedere sulla panca, il tipico posto dei maestri, e io lo seguo, non troppo sicuro. Mi fa cenno di sedermi accanto a lui, ospitalita’, ospitalita’. Basta entrare nella parte. Mi parla. Non capisco una sega, parla strettissimo, dialetto locale immagino. Poco dopo arriva una ragazza, orgogliosa, la sua migliore allieva probabilmente, sara’ lei a fare lezione ai bambini. La capisco, a lei. E’ scettica, cosa voglio fare, guardare o allenarmi? Le spiego che non sono capace, io pratico yiquan, lei manco sa cos’e’ (il capo lo sa, invece). Fammi vedere qualcosa, mi chiede. Mi spiace, non ci sono forme da far vedere. Lei dice ad uno dei bambini, 10 anni scarsi, di fare una forma.

Voglio scomparire.

Inizia l’allenamento dei bambini. Interessante, e intelligente. Partono a freddo con le forme, e poi fanno tutta la preparazione atletica di stretching calci e acrobatica. Sono ragazzini dai 4 agli 11 anni, si devono sciogliere, non faranno certo zhang zhuang. E si’, sono sciolti forte. Tipo, a fine allenamento, sei rondate all’indietro di fila. Il maestro e’ come il nonno, la ragazza li accarezza anche quando li sgrida. Tutti i miei dubbi e le mie angoscie sono scomparse. Lei corregge un ragazzino, petto vuoto schiena tonda. E mi dice, lo yiquan ce l’ha questo? E io le ripeto petto vuoto schiena tonda, in cinese . Resta sorpresa. Gli faccio vedere cheng bao e jijizhuang, molto simile a santishi. Il vecchio dice qualcosa, probabilmente infama lo yiquan.

Finito l’allenamento, la ragazza e un altro allievo fanno un po’ di lotta, del judo alla cinese, senza tatami e con qualche pedata in piu’. La ragazza non viene mai messa a terra, bel nocciolino. Un ragazzo allena pugni a vuoto con un mattone per mano, poi fa il cretino, gli vola un mattone per terra. Il vecchio fa una forma a coppia con la ragazza, tutto corta distanza, viaggiano come schegge. Intrappolare pugni, portare fuori, trovare il centro, entrare. Fantastico. Il vecchio, simpaticamente vanitoso senza indulgervi, si guarda allo specchio. Si sente ancora un figo. A ragione. La ragazza saluta, mi saluta, adios. Alla fine escono tutti, restiamo io e il vecchio. Mi fa un cenno, mi alzo, esco. Dietro di me si spengono le luci, esce anche lui.

Caro Bert Derel, abbi cura di te.

7 responses to “taigu”

  1. luca

    Per consolarti il tuo allievo ha fatto un piccolo salto nel suo lavoro interno.

    Tieni duro!

  2. flyk3r

    YO!

  3. pengo

    Yo!
    Yo!

  4. laura

    Ciao amico mio, ho letto tutto il blog, tanto non avevo un cazz da fare…ma lo sai che questa storia di taigu è praticamente un film? Comprendo lo sconforto e la malinconia, ma reimmergiti subito nel tuo narcisismo: hai vinto. Che esperienza, che immagini. Buono per te. Davvero

  5. pengo

    ah ah, mi sembra i giochi a premi che propongo io. Quando scopro cosa ho vinto, poi te lo racconto :)

  6. Laura

    :)

    chi è bert derel?

  7. pengo

    uno che conosco :p