Lo spagnolo ha le sue finezze, che ho avuto modo di annusare qualche giorno fa parlando con Santi. Chicco e Santi sono arrivati da Bangkok in bicicletta, passando per il vietnam (e presumibilmente Laos e/o cambogia), io camminavo per wen hua xiang (la strada della cultura, sti gran cazzi), loro, appiedati, mi hanno chiamato dall’altra parte della strada.
"Hola, sabes donde podemos encuentrar para fumar?" mi hanno chiesto sorridendo, e io, ridendo, gli ho chiesto perché chiedessero proprio a me.
Comunque sia, non ho un indirizzario di spacciatori e anche se l’avessi non lo fornirei per strada al primo che capita. Ma loro erano simpatici, con dred biondi, barba, l’aria di chi viaggiando vive e vivendo viaggia. E soprattutto, puzzavano, un puzzo (da squat, ho pensato) che non sentivo da troppo tempo, e a cui ho voluto molto bene. Quindi niente, gli ho detto che se andavano a Dali di sicuro trovavano tutto quello che volevano, che non si preoccupassero che lì ci sono un sacco di turisti e bar, e in cuor mio avevo già deciso di portargli un mini presente di benvenuti qualora ci fossimo reincontrati a sera. Kunming è piccola. A sera ci siamo reincontrati, ma non avevo niente con me, in compenso avevo il computer e la bicicletta. Indovinate dove li ho beccati? Esatto, al box. Comunque sia, abbiamo chiaccherato un po’, erano in compagnia di un ragazzo spagnolo che conosco di vista, gli ho chiesto se restavano ancora un po’, sono tornato a casa a posare il computer e prendere il regalino. Hanno apprezzato.
Stavamo parlando del libro che il ragazzo spagnolo stava leggendo l’altro giorno quando l’ho incontrato, da solo, seduto compostamente sull’erba nel parco della Shida (università normale, dove studio, sì, finalmente ho coronato il mio sogno di essere un normalista…), la "Hystoria general de las drogas", questo ragazzo legge troppi libri mi sa, citava anche freud a un certo punto, fatto sta che il ragazzo ha detto qualcosa sui punkies (la meravigliosa pronuncia spagnola, punchis, toglie tutta l’aggressività del "panc"), al che chicco ha iniziato a scherzare su punkies, e simile gentaccia con i dred che non usa il profumo (gli uomini spagnoli usano di solito vagonate di profumi agghiaccianti, mentre io sfortunatamente non ricordo le altre espressioni che ha usato, tutte suppostamente dispregiative in cui avrebbe potuto facilmente rientrare lui stesso), e poi ha detto "la peña".
La peña, gli ho chiesto, cosa vuol dire, è una parola che suona bene ma non la conosco, la peña è la gente, la tua gente, nella quale ci può stare chiunque, si parlava di quelli che vanno a occupare le case nei paesini sperduti, poi la peña erano quelli, per lo più italiani, con cui se ne vanno d’estate in andalusia a fottere l’oppio alla bayer (la bayer in spagna ha campi immensi di papaveri da oppio, la gente, la peña, va in modalità commando, nottetempo, e si fa il suo raccoltino personale). Bè, forse non chiunque.
La sera dopo, nuovamente ci siamo incontrati al box (kunming è piccola, il box è ancora più piccolo). E ho avuto modo di apprezzare le finezze dello spagnolo parlando con santi, mentre chicco era andato a farsi fare un massaggio in un posto che io ancora non ho provato (peraltro, dice che non è il caso di farsi massaggiare, ora come ora: taiji. Sarà. Per ora niente più massaggi). Per quanto mi riesca difficile, cerco di non tirare fuori l’argomento taijiquan nei primi cinque minuti che conosco una persona, che fai in cina, studio. Di solito basta così, non c’è bisogno di specificare cosa. Comunque sia prima o poi se ne parla, che volete. Santi mi chiedeva qualcosa, il gli ho detto "il mio insegnante", usando l’espressione "ensegnante", e lui ha detto, "maestro", usando l’espressione "maestro", che in spagnolo è uguale. Io non sono entrato nel dettaglio, ho sentito dire che a Yang Laoshi non piace particolarmente essere chiamato maestro, usando l’esp… shifu (师傅), ma personalmente non ho mai troppo bisogno di chiamarlo in qualche modo, e come avrete notato yang laoshi (laoshi – insegnante) funziona già abbastanza bene.
Siamo giunti a formulare queste provvisiorie considerazioni: "maestro", dicevo io, è un riconoscimento sociale con una sfumatura forte di permanenza. "maestro", diceva santi, trasmette forse un sapere ormai consolidato. Io dicevo, mi suona bene "il maestro" e "un insegnante", per quanto ovviamente possa esserci "l’insegnante" o "gli insegnanti" del momento. Perché, dicevo, l’insegnante è quello che ti mostra la direzione, e così facendo puntavo il dito fuori dalla porta del locale, e santi mi correggeva: quello è "señalar", segnalando mostri, mostrare è "enseñar". Non necessariamente, era il suo punto, bisogna señalar para enseñar.
Poi è tornato chicco, e dovrei segnarmi questa cosa, il 6 di marzo del 2009 ho trattato per la prima volta una persona. C’è un sacco di gente cui, più o meno gradevolmente per loro, ho messo le mani addosso (ieri, per esempio, ho fermato una ragazza che conosco in mezzo di strada, letteralmente, e le ho preso polso e gomito, lavorandoci sopra un po’: lei era piuttosto spaesata, riconosco). Anche in italia, ricordo ancora con gusto la giornata di massaggi alla riottosa, con la zia di chiara che aveva studiato niente poco di meno del tregger (forse tragger) e una ragazza che mi ha introdotto alla riflessologia plantare. Quanto poco mi piace manipolare mentalmente le persone, tanto mi piace manipalarme fisicamente. Sarà per l’attenzione che ho per il mio corpo e la mia postura, direi ormai al limite esterno della fissazione, fatto sta che leggere i corpi di voi a volte mi riesce bene, specie in presenza di grandi traumi, come lo studio della danza classica (dovrebbero vietarlo, il modello di gran signora impettita non è molto sano per il sistema nervoso), incidenti di motocicletta o cose del genere.
La spalla destra di chicco era diversa dalla sinistra, più… chiusa. In questo momento gli unici termini, assolutamente non tecnici, che ho a disposizione sono chiusura e apertura, ma tant’è, di solito non ne parlo con nessuno per cui non c’è ancora bisogno di un vocabolario elaborato. Fatto sta che ho preso prima polso e gomito, e poi gomito e spalla. Diciamo, lavorandoci sopra. Diciamo, senza toccarli. Continuando a ragionare con Santi, mentre chicco sembrava momentaneamente da un’altra parte. Toccare qualcuno è una cosa più o meno intima, non toccarlo stando a pelo è forse ancora più intimo. Io non capivo una sega di cosa aveva la spalla di chicco, in effetti, non che stessi cercando di capire qualcosa, ma quando mi sono staccato ci siamo detti qualcosa, al che gli ho messo la mano sulla scapola, e mi sono ritrovato con praticamente un blocco unico dai lombi fino al trapezio. Era caduto di bicicletta un mese prima, mi ha detto a quel punto, una brutta caduta. E in effetti a quel punto le cose si facevano un po’ più chiare.
La serata con loro si è conclusa con una telefonata che ho fatto a un amico dicendogli che avevo incontrato due tipi interessanti che stavano per passare dalle sue parti, e che forse non gli sarebbe dispiaciuto conoscerli (a loro avrebbe sicuramente interessato conoscere l’amico). Mi ha chiesto se viaggiavano o stavano lì a studiare. Quando gli ho detto che viaggiavano, ma in bicicletta, avevano storie interessanti e per di più puzzavano è sembrato incuriosito, non c’era alcun problema se gli davo il suo numero. La telefonata è andata oltre, era un po’ che non si chiaccherava, e poi niente, finita la telefonata, e di lì a un po’ anche la serata.
Alle volte mi rendo conto di quanto sia piacevole per se stessi essere gentili con gli altri, amichevoli e ospitali. Di quanto l’utile immediato può sempre essere preceduto da un po’ di cortesia. Questo crea uno spazio che può serenamente essere sondato e attraversato, non importa che stiate comprando un vestito per un’amica o salutando un caro amico, perché lascia intendere, a pelle ancor prima che consciamente, che c’è l’intenzione di ragionare. Di riconoscere all’altro la possibilità di esprimersi. Talvolta la cortesia non viene apprezzata, può succedere.
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Ciò che ancora è a riposo è facile da contenere, ciò che ancora non si manifesta è facile da prevenire, ciò che è fragile è facile da rompere, ciò che è piccolo è facile da disperdere. Affronta le cose sul nascere, metti ordine prima che si manifesti il disordine.
Un albero il cui tronco si può a malapena abbracciare nasce da un minuscolo germoglio. Una torre alta nove piani incomincia con un mucchietto di terra. Un viaggio di mille miglia inizia sotto la pianta dei tuoi piedi.
Coloro che cercano di cambiare le cose le rovinano, coloro che cercano di impadronirsene le perdono. Perciò il saggio non cerca di cambiare nulla e non rovina nulla, non cerca di impadronirsi di nulla e non perde nulla.
La gente rovina le cose proprio quando sta per portarle a termine. Fai attenzione alla fine quanto all’inizio e niente sarà rovinato.
Il saggio desidera soltanto l’assenza di desideri, e non dà valore agli oggetti preziosi, impara il non sapere e ritorna a ciò che le masse hanno abbandonato. Aiuta le innumerevoli creature a realizzare la loro natura e si astiene dall’interferire.
curioso, ho provato due volte a commentare “le tue prigioni”. impossibile, veniva la scritta “error, i commenti per questo articolo sono stati disabled”.
in realtà volevo solo dire che ho trovato la lettura di “primavera (ehbè)”, che avevo perso, incantevole di per sé e molto “allietante”. ehbè…